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Il consenso: non facciamola facile, specie nella sessualità.

Il consenso sessuale: una riflessione multidimensionale

Mi occupo di consenso da parecchio tempo e per quanto tutti la “facciano facile” io mi incasino ancora.

Sono arrivata alla conclusione che il consenso non è una “cosa” un “argomento”, una “questione” ma piuttosto una Esperienza della vita e come tale è mutevole e, soprattutto, multifattoriale

Negli ultimi anni, il tema del consenso, soprattutto in ambito sessuale, ha guadagnato un ruolo di rilievo nel dibattito pubblico, con il movimento MeToo come uno dei principali catalizzatori. Tuttavia, ridurre il consenso a una semplice questione di “sì” o “no” sarebbe riduttivo.

Come sottolinea Manon Garcia nel suo libro “Di cosa parliamo quando parliamo di consenso” l’atto sessuale occupa uno spazio speciale nella nostra cultura, caratterizzato da un intreccio complesso di norme sociali, morali e istituzionali. Si chiede, se “[…] c’è, nel sesso, qualcosa di peculiare, tale per cui non si può ragionare sul consenso sessuale a partire da altri tipi di consenso, in particolare all’interno delle relazioni affettive?”

Il consenso: un’arte complessa che richiede consapevolezza oltre la sfera sessuale

Ma, come emerge dall’esperienza pratica di chi educa su questi temi, il consenso va ben oltre la sfera sessuale, coinvolgendo molti altri ambiti della vita quotidiana.

L’educazione al consenso, infatti, non può limitarsi all’ambito sessuale. Il processo di insegnamento del rispetto reciproco inizia già dall’infanzia, con l’apprendimento di comportamenti di base, come chiedere il permesso prima di abbracciare un amico o rispettare i confini fisici e psicologici degli altri. Questo approccio si estende anche alle relazioni familiari, in cui viene insegnata l’importanza del mutuo rispetto, ma anche della condivisione e dell’empatia. Tuttavia, se da un lato è fondamentale insegnare a rispettare i confini altrui, dall’altro è altrettanto cruciale che ciascuno impari a identificare e comunicare i propri limiti personali ma anche i propri bisogni e desideri.

Dire “Sì” o “No” non è mai un processo banale. È influenzato da una molteplicità di fattori, come la nostra autostima, la capacità di gestire le emozioni e le dinamiche di potere presenti nelle relazioni.

Saper esprimere un consenso autentico, che sia in linea con i propri desideri e bisogni, richiede una profonda comprensione di sé e una costante riflessione su come il contesto esterno, le aspettative sociali e le dinamiche di potere influiscano sulle nostre decisioni.

Questo è particolarmente vero nell’ambito sessuale, dove il “No” può essere una risposta difficile da esprimere, a causa di fattori come la paura, la pressione sociale o economica, e l’insicurezza.

Le parole di Garcia mi hanno fatto a lungo riflettere sul fatto che in effetti la sessualità è uno spazio che culturalmente viene occupato da molto di più dell’atto sessuale e forse per questo merita un posto d’onore nella cultura del consenso.

La frustrazione di ricevere un “no la mia bici non te la presto” non è la stessa di ricevere un “no non voglio fare sesso con te” e se mi rubano la bici non è la stessa cosa che se mi stuprano.

Il consenso: una questione personale, sociale e culturale

Proprio per questo però per me è necessario allargare il consenso oltre la sfera sessuale a fini educativi e anche a fini di creazione di una cultura del consenso così che quando si arriva al sesso le basi siano solide e resistenti in modo da poter sostenere anche i “se e i ma” che la sessualità (e dunque la relazione) porta con sé.

Occorre prendersi in carico la responsabilità di scoprire e implementare quelli che per noi sono i punti deboli della nostra capacità di dire quei Sì e quei No.

Per lavorare sul proprio rapporto con il consenso, un esercizio utile potrebbe essere quello di tenere un “Diario del consenso” In questo diario, si potrebbe suddividere la propria vita in tre aree: lavoro, relazioni e sessualità, annotando ogni giorno i “sì”, i “no” e i “forse” espressi, e riflettendo sulle motivazioni dietro ciascuna risposta. Questo strumento permette di scoprire aspetti inaspettati di sé stessi: come il caso di chi scopre di essere capace di gestire bene il consenso nelle relazioni personali, ma di essere meno sicuro nel contesto lavorativo per paura di perdere la sicurezza economica.

Riflessioni come queste ci portano a interrogarci su cosa significhi davvero essere liberi di dire “sì” o “no” La costruzione di una cultura del consenso richiede una riflessione profonda non solo su noi stessi, ma anche sul tipo di società che vogliamo costruire.

Ed è proprio da qui che possiamo partire: dalla comprensione che il consenso, come la vita stessa, è una danza continua tra il dare il ricevere.

E voi, come vi relazionate al consenso nella vostra vita quotidiana?

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